Il tempo di Quaresima che ci sta davanti è caratterizzato da alcuni segni che ci accompagneranno: il primo da interpretare è proprio quello numerico che, come è noto, assume nella tradizione biblica una valenza rilevante: i quaranta giorni appartengono al genere delle esperienze sacramentali, cioè quelle che vengono proposte dalla rivelazione divina. In questo specifico caso, si fa riferimento al tempo del deserto. Secondo segno è il digiuno la cui motivazione ultima è cristologica, non solo perché il Signore stesso ha digiunato (cfr Mt 4, 2), ma anche perché, come lui, l’uomo deve esercitare la propria capacità nell’acquisire e nell’utilizzare il cibo e qualsiasi altro bene. Il digiuno, in pratica, non diviene occasione di schiavitù oppressiva, ma esercizio della propria libertà, relativa sia al tempo che alle cose; inoltre esso diventa attenzione verso gli ultimi, apertura verso di loro, attuata attraverso la condivisione che, nella prospettiva originaria, è l’ideale punto di arrivo di ogni comunità cristiana (cfr At 4, 32-34). Le opere di carità imprimono alla pratica del digiuno un irrinunciabile valore sociale e comunitario e per questo senso il digiuno dei cristiani deve diventare un segno concreto di comunione con chi soffre la povertà e il dolore. Un altro segno è la preghiera: la Quaresima diventa un’ulteriore occasione propizia per verificare sia la presenza dell’orazione nella vita quotidiana, sia la sua configurazione concreta; deve diventare una vera scuola, una disciplina quotidiana, che scaturisce dalla fiducia nel Signore e da una rinnovata presa di coscienza della sua paternità, espressa in molti modi. Pregare, come dice Papa Francesco, non è chiedere qualche cosa a Dio per ottenerlo: questo sarebbe fare un negozio; la preghiera è la migliore arma che abbiamo, una chiave che apre il cuore di Dio.